Don Vittorio e il quadro ritrovato (dopo 38 anni)

(+++tratto da una storia vera+++)

E’ una fredda sera di fine febbraio di 38 anni fa. Il vento fischia tra le finestre e l’inverno resiste all’incombere della primavera. Lassù, nel paese arroccato su una roccia che sembra una mano che issa verso il cielo, e comunque l’inverno dura ben di più di quanto dica il calendario. Il profumo della neve pur se sciolta ancora persiste. Don Vittorio, ama quel suo paesello, e ama studiarlo. Ha appena chiuso la porta principale della chiesa del Santissimo Salvatore, prima, come ogni volta, ha fatto il segno del cristiano, un leggero inchino verso il figlio di Dio e uno sguardo per vedere se la chiesa è sicura. “Si, lo è”, si è detto, spazzando via un leggero dubbio. Torna a casa, una cena neanche tanto frugale, un bicchiere di vino rosso, anzi due “tanto il bicchiere è quello delle cantine e mi riscalda per bene”, le preghiere e poi il sonno che viene senza fatica. L’indomani mattina don Vittorio, studioso di teologia e di arte, studioso dei giorni e della vita, appena arriva davanti alla chiesa nota che qualcosa non va, nota che qualcuno è entrato, l’ha profanata. I suoi occhi, una volta nella navata, scrutano ogni angolo e già sanno cosa gli ignoti hanno portato via. Don Vittorio conosce le opere della chiesa a menadito e conosce l’arte della scrittura come pochi. Prende carta e penna e scrive. Descrive, anzi, cosa hanno derubato. C’è un’opera alla quale lui tiene tanto: la “Resurrezione di Cristo”, un olio su tela di 48 centimetri per 28, di due secoli di vita. Don Vittorio è meticoloso, ne descrive ombre, qualità, luci, intensità, in pratica la ridipinge nella descrizione. E porta quel testo, che se non fosse una denuncia sarebbe un capitolo di un libro d’arte, ai carabinieri. I militari guardano quel prete, quel testo e scuotono la testa: furti su commissione, difficile scoprire l’autore, arduo recuperare il bottino. Inviano tutto ai colleghi che si occupano di questi furti: quelli per la tutela del patrimonio culturale. Ora, sia chiaro, 38 anni fa non c’erano le attrezzature informatiche oggi, le foto, i riscontri, i database e chi voglia aggiunga, soprattutto non per un quadro rubato in uno sperduto paese del sud Italia. Ma don Vittorio, prega, spera e descrive allo stesso modo: con intensità estrema. La sua descrizione è minuziosa, è un quadro del quadro, e i carabinieri nel corso del tempo aumentano le possibilità tecnologiche. Quella descrizione entra in un database sempre più efficiente, quei militari si interessano sempre di più delle opere rubate. Don Vittorio diventa sempre più uomo di cultura e di teologia, sempre meno giovane ma sempre più miniera di Storia. E spera sempre. Quel quadro tornerà a casa, dirà, in punto di morte, prima di salutare i suoi cari e abbracciare il suo Dio. Un anno dopo, i carabinieri, grazie a quella descrizione così minuziosa, a quel quadro del quadro, notano un’opera a un’asta, a Palermo, a centinaia di chilometri dalla sua casa. Comparano, confrontano, sequestrano. E’ quella “Resurrezione di Cristo”, è il quadro di Don Vittorio, anzi no della “Chiesa del Santissimo Salvatore”. E 38 anni dopo, all’alba del 39enismo anniversario da quel furto sacrilego, da quella descrizione certosina di Don Vittorio, quel quadro torna a casa, nella sua chiesa, nel suo paese.

Don Vittorio non c’è più, e non si sa come avrebbe descritto questo momento. Di certo avrebbe sorriso. Anzi, sta sorridendo proprio ora.

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Presunto(so) giornalista, in realtà disoccupato
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