
Questa è una storia che non ha ancora una fine. E che non avrà fine neanche quando e se ci sarà una risposta certa ai tanti quesiti rimasti irrisolti. Per cronaca ho dovuto, e voluto, raccontare, cosa sia avvenuto – o si ipotizza sia avvenuto – in via di Giura a Potenza, la notte tra venerdì 8 ottobre e sabato 9. L’ho fatto da sabato mattina, da quando, dopo aver sentito un’amica di Dora, mi è stato detto: “Impossibile sia suicidio”. Ho pensato di vederci chiaro, di pensare ad altre ipotesi. Magari raccontarle.
E allora questa è la storia di Dora. Di chi la conosceva prima e di chi l’ha conosciuta solo attraverso foto e parole. E di chi pensa di conoscerla attraverso le ultime stories su Instagram. Persone vacue. Spettatori di altre vite. In realtà è una storia di lacrime di chi davvero la conosceva. Di chiacchiere di invece millanta che la conoscesse. Questa è la storia di una ragazza che amava la vita, che amava farsi volere bene. Non entro e non posso farlo, per ora, nei meandri della storia d’amore con il suo fidanzato. Lo faranno – devono – gli inquirenti.
Questa è una storia che difficile da raccontare, perché è facile cadere nel giudizio e nel pregiudizio. Nel chiacchiericcio o nell’ipotesi facile. Quella ovvia, quella che dimentica i nodi della vita. E invece andrebbe raccontata dalla parte più difficile. Dal dolore. Quello traspare, silenzioso, da chi amava davvero Dora, da amici che l’hanno vissuta, da chi ha incrociato i suoi sguardi, da chi ha semplicemente gioito con lei, per un suo successo. Dal dolore di una famiglia, di due genitori svuotati, da una sorella alla quale è stata strappata l’altra parte di sé.
Questa è una storia che non avrei mai voluto raccontare, una cronaca che ha scatenato il circo mediatico e fatto calare il sipario sui sentimenti veri. Ma che andava raccontata per non far calare il sipario sulla verità. Qualsiasi essa sarà.